Vai ai contenuti

Santi del 12 Settembre

Il mio Santo > I Santi di Settembre

*Sant'Ailbeo (Albeo) di Emly - Vescovo (12 Settembre)
m. 528
Fondò il vescovato di Emly in Irlanda, essendo il principale evangelizzatore di questa regione. Il suo esempio e zelo apostolico condussero molti alla Fede.
Martirologio Romano: A Emly nel Munster in Irlanda, Sant’Albeo, vescovo, che nel suo peregrinare predicò a molti il Vangelo.
É commemorato in tutta l'Irlanda e la diocesi di Imlech (Emly) nella contea Tipperay lo ricorda come suo patrono, tuttavia le informazioni che abbiamo su di lui sono contraddittorie e confuse, e molte appartengono alla leggenda piuttosto che alla storia (ad esempio, un racconto delle sue origini ricorda molto la storia di Romolo e Remo).
Anche i resoconti della sua adesione al cristianesimo sono discordanti: in uno si afferma che fu istruito e battezzato da un sacerdote britannico che l'udì per caso porsi delle domande sulla bellezza del creato e sulla possibile esistenza di un creatore; in un altro si racconta che fu allevato e battezzato da alcuni membri di una colonia inglese in Irlanda.
Si suppone sia stato consacrato vescovo durante una visita a Roma, anche se si dubita persino di questo.
Sembra invece certo che abbia predicato per tutta l'Irlanda e con una tale autorità che non solo molti si convertirono nominalmente al cristianesimo, ma furono anche ispirati dal suo esempio a vivere davvero da cristiani.
Inoltre, si pensa che abbia scritto una regola monastica e fondato la sede di Imlech.
Secondo la sua leggenda, Ailbeo chiese a Oengus, re di Munster, di cedere le isole Aran a Sant'Enda (21 marzo). Il re non ne aveva mai sentito parlare, ma quando le vide in sogno fu felice di farlo.
Per quanta verità ci sia in questo, il monastero fondato a Killeany (Cell Enda, chiesa di Sant'Enda) sull'Inis Mor fece guadagnare alle isole il titolo di Aran of the Saints (Aran dei Santi).
Sembra che l'ipotesi che Ailbeo abbia svolto la sua predicazione in Irlanda prima di San Patrizio (17 marzo) sia poco fondata.
Questa e altre idee simili furono quasi certamente introdotte per indicare che Ailbeo fosse uguale, se non più grande, di Patrizio, ed è probabile che sia morto nel VI secolo.

(Autore: Alban Butler – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant'Ailbeo di Emly, pregate per noi.

*Sant’Autonomo - Vescovo e Martire (12 Settembre)

Martirologio Romano: In Bitinia, nell’odierna Turchia, Sant’Autonomo, vescovo e martire.
È sconosciuto agli antichi martirologi. Gli Acta S. Autonomi, che sembrano redatti sotto l'imperatore Giustino (518-527), non meritano credito. Secondo essi, Autonomo nacque in Italia dove ricevette anche l'episcopato.
In seguito alla persecuzione di Diocleziano si rifugiò in Bitinia, eleggendo a centro della sua attività una località chiamata Sorea, non ancora identificata, donde svolse un intenso apostolato
per tutta l'Asia Minore e dove innalzò una cappella in onore di San Michele.
Tornato a Sorea da uno dei suoi viaggi, vi subì il martirio, vittima di un tumulto dei pagani irati per la distruzione dei loro idoli da parte dei cristiani.
Autonomo fu ucciso ai piedi dell'altare mentre celebrava la Messa, il 12 settembre di un anno indeterminato. Sotto l'imperatore Costantino, un certo Severiano innalzò sul sepolcro del martire una cappella che, essendo andata in rovina, fu sostituita, al tempo dell'imperatore Giustino, da un oratorio : l'autore della passio asserisce di averlo visitato venerando le reliquie del Santo ivi conservate.
La chiesa di Sant'Autonomo, dove si rifugiò l'imperatore Maurizio (Teofilatto Simocatta, Hist., VIII, 9, 9) era situata sulle coste della Bitinia.
Nella Vita di San Teodoro Siceota (BHG, II, pp. 276-77, n. 1748) è ricordato il monastero di Sant'Autonomo, ma senza indicare la località in cui sorgeva.

(Autore: Filippo Caraffa – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Sant’Autonomo, pregate per noi.

*Santi Cronide, Leonzio e Serapione - Martiri (12 Settembre)
Santi Cronide, Leonzio e Serapione, martiri presso Alessandria d'Egitto, si narra che furono annegati in mare per essersi confessati cristiani sotto l'imperatore Massimino.
Martirologio Romano: Ad Alessandria d’Egitto, Santi Crónide, Leonzio e Serapione, martiri, che si dice siano stati affogati in mare per aver confessato il nome di Cristo sotto l’imperatore Massimino.
(Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santi Cronide, Leonzio e Serapione, pregate per noi.

*San Francesco Ch'oe Kyong-hwan - Catechista e Martire (12 Settembre)  

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Santi Martiri Coreani" (Andrea Kim Taegon, Paolo Chong Hasang e 101 compagni)

Taraekkol, Corea del Sud, 1804 – Seul, Corea del Sud, 12 settembre 1839
Francesco Ch’oe Kyŏng-hwan, catechista, venne arrestato nel giugno 1839, insieme a sua moglie Maria e ai loro figli, a causa dei suoi tentativi di evangelizzare i conterranei. Indifferente alle innumerevoli torture, non rinnegò la fede.
Morì in carcere, nella notte tra l’11 e il 12 settembre 1839, in seguito alle percosse ricevute. È stato canonizzato da Papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, inserito nel gruppo dei 102 martiri coreani.

Martirologio Romano: A Seul in Corea, san Francesco Ch’oe Kyŏng-hwan, martire, che, catechista, condotto davanti al prefetto non volle rinnegare la fede cristiana e, detenuto in carcere, pervenne al martirio tra torture e supplizi senza però mai desistere dalla preghiera e dall’opera di catechesi.
Francesco Ch’oe Kyŏng-hwan nacque nel 1804 presso la città di Taraekkol, nel distretto dello Hongjugun, nella provincia del Chungcheong, nell’attuale Corea del Sud. Suo nonno, Ch’oe Han-il, fu il primo membro della sua numerosa e prospera famiglia ad essere battezzato, nel 1787.
A causa dell’assenza, da molti anni, di un sacerdote, i cattolici del luogo lo erano solo di nome, dedicandosi a pratiche rituali scorrette e a superstizioni di vario tipo. Non sopportando oltre tale situazione, Francesco esortò i suoi fratelli a lasciare il loro villaggio natio e si trasferì con loro nella capitale Seul.
Per motivi ignoti, venne coinvolto in questioni legali e perse gran parte delle sue proprietà. Senza cercare vendetta, lui e la sua famiglia si trasferirono di nuovo, in un villaggio sul monte Suri, presso Kwach’on, nella provincia del Kyonggi. Disboscò la zona per far sì che altre famiglie cattoliche in fuga potessero costruire le proprie abitazioni e si diede alla coltivazione del tabacco.
Lentamente, il numero delle famiglie si accrebbe: da tre o quattro, giunse a quasi venti. Di sera, Francesco radunava i fedeli in casa sua e spiegava loro la dottrina cristiana: ben presto, cominciarono ad arrivare persone anche da molto lontano, attirate dall’abilità oratoria da lui messa in gioco per il Vangelo. Non era molto istruito, ma aveva maturato un grande amore a Dio e all’insegnamento della Chiesa mediante la lettura e la meditazione di testi spirituali.
Sia che lavorasse o che stesse in casa, che fosse tra i campi o in strada, viveva in costante unione con Dio e i suoi argomenti di conversazione erano inerenti unicamente a Lui.
Nel 1836, quando Francesco aveva trentun anni, arrivò in Corea padre Pierre Maubant, della Società delle Missioni Estere di Parigi. Consapevole della difficoltà che i sacerdoti stranieri avevano nell’entrare e nel risiedere in quel Paese, decise d’inviare oltreoceano i giovani coreani orientati verso il sacerdozio.
Il figlio maggiore di Francesco e sua moglie Maria, Tommaso Yang-eop, gli era stato raccomandato per la sua straordinaria intelligenza. Così, padre Maubant mandò a chiamare i coniugi e chiese loro il consenso a lasciarlo partire per Macao: «Grazie, padre. Questa non è volontà nostra, ma la chiamata di Dio, una vocazione. Non avevamo idea che una tale benedizione e felicità sarebbe giunta in casa nostra», risposero. La loro decisione assume un coraggio ancora maggiore di quanto solitamente mostrano i genitori nell’acconsentire alla vocazione dei figli: per via dell’influsso del Confucianesimo, infatti, i coreani tendevano a non mandare a vivere lontani i propri figli, nemmeno con fratelli maggiori o minori.
Nel 1839, Francesco venne ufficialmente nominato catechista, proprio quando la persecuzione contro i cattolici si era inasprita: moltissimi vennero catturati e costretti a morire o per fame o per la sofferenza. Egli, dunque, organizzò una colletta e prese a viaggiare per aiutare con quel denaro sia i cattolici prigionieri, sia i non credenti poveri. Si occupava anche di seppellire i corpi dei martiri.
Tornato a casa, prospettò ai familiari la possibilità del martirio. Raccolse tutti gli oggetti religiosi che aveva in casa e li seppellì, eccezion fatta per i testi di catechismo: «Nascondiamo i nostri articoli religiosi cosicché non vengano profanati, ma i libri non sono benedetti. Un soldato che va in guerra ha bisogno di istruzioni per il combattimento. In un’epoca come questa, dobbiamo studiare tutti i libri più onestamente».
Nella notte del 31 luglio 1839, le forze di polizia arrivarono da Hanyang al villaggio sul monte Suri. Circondarono casa di Francesco e, con grida e insulti, abbatterono il cancello d’ingresso. Ciò nonostante, Francesco diede loro il benvenuto come se fossero degli ospiti a lungo attesi: lì invitò a riposare fino all’alba e offrì loro vino e riso. I soldati, stupiti da quell’atteggiamento, accettarono l’offerta, convinti che non ci sarebbe stato rischio di fuga.
Francesco colse l’occasione: fece il giro del villaggio e invitò i residenti a consegnarsi alla polizia e affrontare il martirio. Ai suoi figli disse che, piuttosto che patire la fame a casa, sarebbe stato meglio morire in carcere testimoniando la fede.
All’alba servì la colazione ai soldati e a uno di loro, malvestito, diede perfino un cambio d’abito. Nel frattempo, gli abitanti del villaggio vennero interrogati uno ad uno se fossero cattolici: chi apostatava era libero di andarsene.
Di buon mattino, una quarantina di persone, inclusi donne e bambini, vennero condotti a Seul. Alla testa del gruppo c’era Francesco, che incoraggiava i compagni a meditare sulle sofferenze di Gesù in croce e aggiunse che un angelo, con un righello d’oro, misurava i loro passi. Si era nel pieno dell’estate, quindi camminare era molto difficile per via del caldo, specie per i più deboli.
Tra gli astanti c’erano sia persone che insultavano i componenti di quel corteo, sia altri che sentivano dispiacere per loro. Arrivati alla Grande Porta del Sud, si sentirono gridare contro: «Gente malvagia! Morite se volete, ma perché far morire con voi questi bambini innocenti?».
Il mattino dopo cominciarono gli interrogatori. Il giudice disse: «Se vuoi credere, fallo da solo. Non ingannare quest’altra gente». Francesco replicò: «Chiunque non crede alla Chiesa Cattolica va all’inferno». Furibondo, l’altro ordinò che venisse torturato finché non avesse ritrattato le proprie credenze.
Il catechista sopportò le battiture: era ferito dappertutto, tanto che gli si vedevano le ossa, ma non cedette.
Non accadde lo stesso agli altri del villaggio. Alla fine, della comunità del monte Suri erano rimasti in tre: Francesco, addolorato per la defezione degli altri, sua moglie Maria e una loro parente, Yi Emerenzia.
Appena i giudici vennero a sapere della partenza di suo figlio Tommaso per gli studi teologici a Macao, accrebbero le pressioni su di lui: lo picchiarono tanto da slogargli le ossa delle braccia e delle gambe.
Tuttavia, era invariabilmente costante: «Potete farmi smettere di mangiare, ma non mi farete mai rinnegare Dio» e «Come osate domandarmi di tradire la Chiesa! L’infedeltà tra la gente comune è considerata sbagliata. Quanto più lo è l’infedeltà a Dio!».
Stando ad alcuni testimoni, durante i due mesi trascorsi da Francesco in carcere, ci fu a stento un giorno in cui non venne sottoposto a torture. Il suo corpo era diventato tutto una piaga: venne frustato trecentoquaranta volte e picchiato con una mazza sulle tibie centodieci volte.
Nonostante tutto, non smise mai di pregare e di predicare il Vangelo a chi lo circondava: nel mezzo del suo dolore, ogni volta che gli veniva chiesto di spiegare la dottrina, Francesco lo faceva con gioia.
Un giorno, per aggiungere sofferenze a sofferenze, il capo della polizia lo legò a un ladro, che lo prendeva in giro e colpiva le sue ferite. Ma Francesco non emise nemmeno una parola, tanto che il ladro si diede per vinto, esclamando: «Se uno stesse per credere alla Chiesa Cattolica, dovrebbe comportarsi come lui».
In un’altra occasione, i carcerieri cercarono di fargli indossare la mitria e la casula del vescovo Laurent Imbert, anch’egli prigioniero. In risposta, Francesco s’inchinò, dichiarando che si stava inchinando alla Croce e manifestando un profondo rispetto per gli ordini sacri.
L’11 settembre Francesco venne di nuovo tratto in tribunale e gli vennero inflitti cinquanta colpi, ma ormai era l’ultima volta.
Tornato in cella, consapevole di essere prossimo alla morte, disse ai suoi compagni: «Ho sperato di testimoniare la fede morendo di spada. Ma è volontà di Dio che io muoia in prigione». Alcune ore
dopo, nella notte, emise il suo ultimo respiro. Aveva trentacinque anni.
Sua moglie, dopo essersi vista morire tra le braccia uno dei figli, accettò di apostatare, ma presto se ne pentì. Venne decapitata a Tangkogae il 29 dicembre 1839, a trentanove anni.
Il figlio Tommaso, invece, venne ordinato sacerdote nel 1849 e, tornato in Corea, si recò a predicare nei villaggi più sperduti. Scrisse numerose opere sugli usi e costumi coreani, ma anche sui testimoni della fede del Paese, guadagnandosi l’epiteto di “martire del sudore”. Per lui si è svolta, dal 2005 al 2009, l’inchiesta diocesana sulle virtù eroiche.
Tornando a Francesco, la sua causa venne unita a quella di altri martiri coreani, compresi il vescovo Imbert e padre Maubant. La loro effettiva morte in odio alla fede venne sancita con decreto del 9 maggio 1925, che aprì la via alla beatificazione, celebrata il 5 luglio 1925.
Il gruppo di cui facevano parte venne unito a quello di altri martiri coreani, per un totale di centodue. Vennero canonizzati tutti insieme da papa Giovanni Paolo II il 6 maggio 1984, in piazza Youido a Seul, nell’ambito del viaggio apostolico in Corea, Papua Nuova Guinea, Isole Salomone e Thailandia.
Il culto di San Francesco Ch’oe Kyŏng-hwan è tuttora fiorente: a Jacksonville, in Florida, gli è stata dedicata una cappella dove si ritrovano a pregare numerosi cattolici di origine coreana. Inoltre, il 12 settembre 2010, presso l’Anyang Arts Center, si è tenuta la prima rappresentazione di un’opera musicale composta da Riccardo Giovannini, dell’Accademia di Santa Cecilia, dedicata alla sua vita e al suo martirio.

(Autore: Emilia Flocchini - Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Francesco Ch'oe Kyong-hwan, pregate per noi.

*Beato Francesco Maqueda Lopez - Seminarista, Martire (12 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Spagnoli del Clero Diocesano di Toledo”
“Beati 498 Martiri Spagnoli Beatificati nel 2007”
“Martiri della Guerra di Spagna”

Villacañas, Spagna, 10 ottobre 1914 - Dosbarrios, Spagna, 12 settembre 1936
Francesco Maqueda Lopez nasce il 10 ottobre 1914 a Villacanas, in Spagna. Entrato nel seminario di Toledo, riceve il suddiaconato il 5 giugno 1936.
Scoppiata la guerra civile spagnola, l'11 settembre 1936 Francesco è catturato dai rivoluzionari che lo conducono nella chiesa dell'Addolorata, adibita a prigione. Il seminarista non manca di incoraggiare gli altri detenuti, guidando la recita del Rosario e di altre preghiere.
Durante la notte, insieme ai prigionieri, viene trasportato su un camion lungo la strada nazionale per l'Andalusia. Una volta che i componenti del gruppo giungono a Dosbarrios, vengono fatti scendere dal mezzo e sono fucilati. È il 12 settembre 1936.
La fama di santità del giovane seminarista martire apre le porte alla sua causa di beatificazione, unitamente a dodici sacerdoti del clero diocesano di Toledo.
Conclusa l'inchiesta diocesana sulla vita e sulle virtù, gli atti vengono dichiarati validi dalla Congregazione delle cause dei Santi il 18 febbraio 1994.
Benedetto XVI ha riconosciuto il martirio di Francesco Maqueda Lopez il 28 aprile 2006 ed è stato beatificato il 28 ottobre 2007 insieme con altre 497 vittime della medesima persecuzione. (Avvenire)
Francesco Maqueda Lopez nacque il 10 ottobre 1914 a Villacanas, in Spagna. Entrato nel seminario diocesano di Toledo, ricevette il suddiaconato il 5 giugno 1936. Era in quel tempo scoppiata la sanguinosissima Guerra Civile Spagnola, che tante vittime fece tra la popolazione cattolica.
Prevedendo l’arresto, l’11 settembre 1936 il giovane Francesco digiunò e trascorse la mattinata raccolto in preghiera.
Verso mezzogiorno i rivoluzionari bussarono alla porta della sua casa e lo condussero nella chiesa dell’Addolorata, adibita a prigione.
Il seminarista non mancò di incoraggiare tutti gli altri detenuti, guidando la recita del Santo Rosario e di altre preghiere in preparazione alla morte ormai imminente.
Durante la notte, insieme ad altri prigionieri, venne trasportato su di un camion lungo la strada nazionale per l’Andalusia; giunti a Dosbarrios, li fecero scendere e li fucilarono.
Era il 12 settembre 1936, nel pieno della guerra.
La fama di santità e di martirio di questo giovane seminarista non svanì col passare del tempo, anzi andò crescendo e fu dunque indotta la sua causa di beatificazione, unitamente a 12 sacerdoti del clero diocesano di Toledo.
Conclusa positivamente l’inchiesta diocesana sulla vita e sulle virtù, gli atti furono dichiarati validi dalla Congregazione delle Cause dei Santi con decreto del 18 febbraio 1994.
Papa Benedetto XVI ha riconosciuto il martirio di Francesco Maqueda Lopez il 28 aprile 2006 ed egli è stato beatificato il 28 ottobre 2007 insieme con altre 497 vittime della medesima persecuzione.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Francesco Maqueda Lopez, pregate per noi.

*Beato Giacomo Bushati - Sacerdote e Martire (12 Settembre)

Scheda del Gruppo a cui appartiene:
"Beati Martiri Albanesi" (Vincenzo Prennushi e 37 compagni) - 5 novembre
Scutari, Albania, 7 luglio 1890 – Lezhë, Albania, 12 settembre 1949

Don Jak Bushati, della diocesi di Scutari, fu parroco in alcuni villaggi del distretto di Mirdita, nel nord dell’Albania, fino al 1946, quando venne trasferito nella città di Kallmet.
Arrestato nell’aprile 1949, subì torture e accuse di aver introdotto elementi sovversivi dall’estero, compiendo azioni di propaganda anticomunista.
Morì per le torture il 12 settembre 1949, prima che il suo processo avesse luogo. Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.
Jak Bushati nacque il 7 luglio 1890 da una famosa famiglia di Scutari. Studiò Filosofia e Teologia nel collegio dei Frati Minori della sua città, passando in seguito al Seminario diocesano. Celebrò la prima Messa a Scutari il 29 maggio 1915.
Fu parroco in numerosi villaggi del distretto di Mirdita, cattolico da decenni, diventato un centro di resistenza al comunismo dopo la presa di potere. Nonostante le numerose azioni di rappresaglia, gli abitanti non cedettero e con essi i loro sacerdoti.
Nel 1946 don Jak venne trasferito a Kallmet, nella diocesi di Lezhë, dove il vescovo locale aveva la sua residenza; la sede, tuttavia, era vacante. Fu amato e rispettato per le sue virtù, che trasparivano anche senza bisogno di parole.
Dopo tre anni, nell’aprile 1949, venne arrestato e torturato nella sede della polizia segreta a Lezhë.
Le accuse che gli furono rivolte erano di avere protetto elementi sovversivi venuti dall’estero e di agitazione e propaganda antigovernativa.
Reso irriconoscibile dai maltrattamenti subiti, morì il 12 settembre 1949, prima che si potesse tenere il suo processo.
Compreso nell’elenco dei 38 martiri albanesi capeggiati da monsignor Vinçenc Prennushi, don Jak Bushati è stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.

(Autore: Emilia Flocchini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Giacomo Bushati, pregate per noi.

*San Guido di Anderlecht - Pellegrino (12 Settembre)
m. 1012 circa
È uno dei Santi più venerati del Belgio. Nato da una famiglia di contadini nella regione del Brabante fu dapprima sagrestano in una chiesa di Laken, nei pressi di Bruxelles.
Divenne quindi commerciante, peraltro con l'obiettivo di aiutare i poveri, ma la prima nave che armò affondò nella Senna.

Decise allora di indossare gli abiti del pellegrino. Per sette anni si mise in cammino lungo le tormentate strade d'Europa e non solo. Si recò a Roma e a Gerusalemme.
Di ritorno dal lungo pellegrinaggio fu ospitato da un sacerdote di Anderlecht, dove poco dopo morì. Era il 12 settembre 1012.
Sulla sua tomba si verificarono numerosi miracoli e il culto di Guido crebbe rapidamente. Le sue spoglie si trovano nella Collegiata di Anderlecht.
L'iconografia ritrae solitamente Guido come pellegrino o con gli abiti del contadino.
Frequentemente accanto a lui c'è un bue.
Il culto popolare lo vuole protettore di contadini, sagrestani, cocchieri, stalle, scuderie e cavalli. (Avvenire)

Etimologia: Guido = istruito, dall'antico tedesco
Martirologio Romano: Ad Anderlecht in Brabante, nell’odierno Belgio, San Guido, che fu dapprima custode della chiesa di Mariensee; noto per la sua generosità verso i poveri, si fece pellegrino per sette anni ai luoghi santi e, tornato infine nella sua terra, vi morì piamente.
Due secoli prima che il Poverello di Assisi celebrasse con tanto candore le sue nozze con Madonna Povertà, un altro Santo, meno conosciuto, aveva avvertito il pericolo che il denaro fa correre alle anime, anche quando lo si riveste di nobili intenzioni, come il desiderio di soccorrere con l'elemosina gli indigenti.
É Guido di Anderlecht, che una incerta cronologia colloca negli anni 950-1012.
Il suo primo biografo, che scrive nel 1112, al tempo della esumazione delle sue reliquie, lo dice figlio di contadini della regione belga del Brabante.
Mite e generoso, Guido mostrò fin da giovane il suo distacco dai beni terreni, donando quanto possedeva ai poveri.
Desideroso di condurre vita ascetica, lasciò anche la casa paterna e a Laken, presso Bruxelles, scelse di fare il sacrestano al parroco, per rendersi utile al prossimo e al tempo stesso dedicarsi alla preghiera e alle pie pratiche dell'ascesi cristiana.
A un certo punto della sua vita, non per desiderio di guadagno, ma per costituire un fondo a favore dei poveri, si mise nel commercio.
Non fu una scelta felice e se ne accorse quasi subito, poiché la prima nave che riuscì ad armare affondò nella Senna con tutto il carico.
Per Guido fu un avvertimento del Cielo, non perchè la professione del commerciante sia
contraria alle leggi del Signore - si affrettava a soggiungere il biografo - ma perché egli aveva preferito la via più comune a quella più ardua nel cammino verso la perfezione.
Guido indossò allora l'abito del pellegrino e per sette anni percorse le lunghe e insicure strade dell'Europa per recarsi in visita ai più grandi santuari della cristianità.
Fu a Roma e poi proseguì per la Terrasanta.
Di ritorno dal lungo pellegrinaggio, stanco e malato, venne ospitato da un sacerdote di Anderlecht, una cittadina presso Bruxelles, dalla quale prese l'appellativo e dove poco dopo morì, senza lasciare un ricordo particolare.
Infatti anche la sua tomba venne per molto tempo trascurata, finché il ripetersi di alcuni prodigi rinverdì la memoria del santo, al quale fu dedicata una grande chiesa che ne accolse le reliquie.Nel corso dei secoli la devozione a S. Guido si allargò.
Così sotto la protezione dell'umile sacrestano, figlio di contadini, si sono posti i lavoratori dei campi, i campanari, i sacrestani, i cocchieri.
San Guido protegge le stalle, le scuderie e in particolare i cavalli, che durante la festa annuale ad Anderlecht vengono benedetti al termine di una folcloristica processione.
Poiché sembra sia morto di dissenteria, il suo nome è invocato da quanti sono afflitti da questo male.

(Autore: Piero Bargellini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Guido di Anderlecht, pregate per noi.

*Beata Maria Luisa Angelica (Gertrude) Prosperi - Benedettina (12 settembre)
Fogliano di Cascia, Perugia, 19 agosto 1799 - Trevi, Perugia, 12 settembre 1847
Poco distante da Cascia, a Fogliano, il 19 agosto 1799 Gertrude nacque in una famiglia agiata. Ricevette un’educazione profondamente cristiana, in particolare la seguì una zia nubile. Ventenne, il 4 maggio 1820, entrò nel monastero benedettino di Santa Lucia di Trevi, da poco riaperto dopo la soppressione napoleonica.
Suor Maria Luisa, nome che assunse da religiosa, ebbe un’esistenza caratterizzata da fatti e doni straordinari. Seguì pratiche penitenziali molto rigide, provò nella sua viva carne l’Agonia del Signore, la Flagellazione, la Coronazione di spine, le percosse, le stimmate al costato ed alle mani.
Il Signore la volle partecipe delle sue sofferenze, mentre il demonio la molestò, anche di notte e con percosse. Per cinque anni il direttore spirituale, padre Cadolini, Vescovo di Spoleto poi Arcivescovo di Ferrara e cardinale, la indusse a riconoscere nelle sue visioni la superbia e l’opera del demonio.
Nel 1837 Madre Maria Luisa fu eletta Abbadessa. Nel monastero fece rifiorire l’osservanza della Regola, privilegiando l’adorazione al SS. Sacramento.
Contemplava a lungo il Crocifisso, a quanti le chiedevano consiglio invitava ad ricorrere con amorosa fiducia all'infinita Misericordia di Gesù. Nel parlatorio grande un giorno Cristo le apparve con le sembianze di un pellegrino. Madre Maria Luisa morì il 12 settembre 1847 a soli quarantasette anni d’età.
Sono conservate molte sue lettere, sia originali, sia copiate dal confessore, il gesuita p. Paterniani, che nel 1870 ne scrisse la prima biografia. Nel 1914 fu introdotta la causa di beatificazione, sospesa poi per lo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Venerabile dal 1° luglio 2010, il 12 novembre 2012 sarà proclamata beata nella Cattedrale di Spoleto. Le sue spoglie riposano nella chiesa di S. Lucia a Trevi.
Gertrude Prosperi, figlia di Domenico e di Maria Diomedi, nasce a Fogliano di Cascia (Perugia) il 15 agosto 1799. La sua famiglia, pur se parte della piccola nobiltà locale, non gode di grandi disponibilità economiche, anche se la casa natale sorge in posizione centrale nel paese, presso la chiesa parrocchiale di S. Ippolito. Viene battezzata lo stesso giorno al fonte ancora esistente.
È una donna che fa la sua scelta da giovane: il 4 maggio 1820, infatti, viene accolta nel monastero di Santa Lucia a Trevi nella diocesi di Spoleto (Perugia), da poco restituito alle monache benedettine che ne erano state espulse pochi anni prima, assumendo il nome di Maria Luisa. La sua vita è poco conosciuta, se si esclude un’ancora viva memoria nella città di Trevi e tra le benedettine tutt’oggi presenti nel monastero.
Dal 1822 al 1834 vive nel monastero di S. Lucia come una religiosa esemplare e molto apprezzata. La monaca viene impiegata in tutti gli uffici previsti dalla Regola benedettina: infermiera, sagrestana, camerlenga (quattro volte) e, infine, come maestra delle educande. Le testimonianze sono concordi nel descriverla come amabile, benvoluta dalle educande e dalle monache, che svolge con meticolosità i suoi doveri per potersi dedicare intensamente alla preghiera, invitando spesso le consorelle ad unirsi a lei.
Per lungo tempo, comunque, la vita di Maria Luisa si svolge senza clamori all’interno dei ritmi e delle pratiche del monastero, nella preghiera e nel nascondimento.
Nulla trapela circa le sue esperienza mistiche. Solo dopo l’arrivo del primo direttore spirituale (ne ebbe quattro), Maria Luisa è in un certo senso costretta ad uscire dal silenzio e raccontare quanto le accade.
Una delle visioni riguarda la sofferenza causata dell’incomprensione dei suoi direttori spirituali.
La Prosperi vede “Gesù con la croce in spalla…che le diceva: ecco come ti voglio, sarai l’obbrobrio di tutti. Ti vedrai oppremuta e soffrirai anco dai demoni, soffrirai per via dei Confessori. Ti vorranno aiutare, ma non potranno. Oh Dio che pena!”.
Viene fatta oggetto di una sanzione monastica ed era incompresa dalle consorelle. Viene poi l’elenco delle penitenze.
Siamo in pieno Ottocento, con le sue pratiche di pietà e le sue discipline, cilizi e catenelle. La Prosperi, seguendo la solida tradizione ascetica del suo tempo, vuole dominare il corpo macerandolo con pratiche di dura disciplina, seguendo l’esempio di figure come S. Alfonso di Liguori. Attraverso l’orazione della Prosperi, il mondo intero entra in monastero, viene intrecciato dentro la trama di invocazione quotidiana che scandisce la vita monastica.
Inaspettatamente, il 1° ottobre 1837, a 38 anni, è eletta Badessa e lo resta fino alla morte, solo dieci anni dopo, il 12 settembre 1847. È un cambiamento che genera dubbi nella Prosperi, anche perché fino a quel momento pensava di dover cercare la sua strada nel silenzio. Il monastero era immerso in una stagione difficile e lei, donna votata al nascondimento e alla preghiera, non mostra tentennamenti, bensì un senso concreto e lucido della strada da seguire. Agisce in modo molto chiaro. Come prima cosa, progressivamente ma decisamente, viene ristabilita l’osservanza piena della Regola benedettina, con una azione fondata sull’esempio.
La nuova badessa vince le residue diffidenze attraverso una pratica personale di umiltà totale, tanto da sorprendere in molte occasioni le monache. Ha modi di governo attraenti, non autoritari, ma di forte carisma personale. Scrive Adelaide Pellegrini, accolta dalla Prosperi come novizia: «impossibile non amarla, tanto erano la dolcezza de’ suoi affetti, il suo fare allegro, disinvolto, pieno di affabilità, senza minima doppiezza o affettazione…». Infonde al monastero un nuovo spirito, nel quale le consorelle la vedono come una monaca amante dell’interiorità e del raccoglimento che non tollera sciatterie o poca attenzione nella preghiera.
La sua capacità di introspezione è spesso decisiva, in particolare nel saper suscitare nuove vocazioni alla vita monastica.
La gestione della Prosperi vede passare il monastero dalla ristrettezza all’abbondanza: diviene fonte di elemosine per molti e la badessa dona ai poveri che bussano alla porta del monastero, in una Trevi in cui la vita per tanti è durissima. Pur di non lasciare qualcuno a mani vuote, la Prosperi fa addirittura qualcosa di poco corretto: prende alimenti dal magazzino senza avvertire la camerlenga.
La badessa vive anche quelle sollecitudini che la Regola di S. Benedetto prescrive per le monache malate, ma in generale mostra delicatezza verso tutte le sue consorelle.
Eletta badessa desidera che le sue esperienze mistiche - che continuano - non turbino la vita comune, ma rimangano riservate, come un segreto tanto più prezioso in quanto celato. Ma qualcosa trapela in molte occasioni. Il nuovo direttore spirituale, l’arcivescovo di Spoleto mons. Ignazio
Giovanni Cadolini, la obbliga a scrivere delle relazioni periodiche sulle sue esperienze mistiche. Sono esperienze travolgenti di incontri con l’amato, il Cristo. A partire dal 1838, la Prosperi inizia a firmarsi Maria Luisa della volontà di Dio. Per ella scrivere di queste cose è ulteriore sofferenza, ma mons. Cadolini la obbliga a farlo con cadenza regolare.
In tutto invierà al Vescovo oltre trecento pagine. Nella simbologia delle sue visioni, ricorre il tema del Cuore di Gesù, fulcro della pietà popolare dell’Ottocento. Più volte le esperienze mistiche lasciano la Prosperi fisicamente a pezzi, tanto da non nascondere più il problema alle consorelle. Spesso le accadono vicino al momento in cui sta per ricevere l’Eucaristia e divengono momento unitivo con Cristo.
Nei suoi carteggi, la Prosperi riporta dialoghi tra lei e il Cristo come dialoghi amorosi, sul tipo del Cantico dei Cantici, in cui l’unione dei cuori necessariamente significa partecipazione ai dolori contenuti nel cuore di Cristo, che in una delle visioni le dice: “ecco figlia, la tua dimora, qui ti riposerai, chiedi quello che vuoi, mettimi qui i tuoi cuori che io li ho accettati, giusti per più amarmi, i peccatori per convertirsi, gli infedeli perché tornino alla mia Chiesa”.
La visione di un cardinale sofferente in Purgatorio serve ad introdurre un discorso di inaspettata critica sulla situazione interna della Chiesa, con il sorprendente cenno a “Ugenio” che probabilmente è Eugenio IV, il papa dell’unione effimera con i greci concepita nel concilio di Firenze, che ebbe un “regno tempestoso”. Molte di queste visioni vengono ricevute dalla Prosperi in un momento nel quale si dipana una vicenda importante, cioè il tentativo di mons. Cadolini (che nel frattempo era stato nominato cardinale arcivescovo di Ferrara) di trasferirla in altro monastero. Vuole, infatti, fondare un nuovo istituto di Adorazione perpetua del Sacro Cuore a Ferrara, e coinvolgere la Prosperi in tale impresa, che si trova nella posizione di non poter dire di no.
Lasciare il monastero di Trevi e la Chiesa di Spoleto, però, è una cosa dura da accettare. Più volte dice di essere pronta all’obbedienza e scrive a Cadolini: “Io nulla decido, voglio solo quello che vuole Iddio”. Alla fine, la Prosperi non andrà a Ferrara. Si rompe il suo rapporto con mons. Cadolini, al quale, però, non ha mai disobbedito.
Tutte queste vicende avvengono mentre la vita del monastero si svolgeva regolarmente sotto la sua guida, in clima di rinnovata adesione alla Regola. La Prosperi predica e le sue parole toccano i cuori delle consorelle, anche di quelle più problematiche. Il monastero non è più luogo indegno, sede di una comunità in difficoltà e divisa al suo interno.
Negli ultimi quattro anni della sua vita, la Prosperi sperimenta nella sua persona una grande sofferenza. La settimana santa del 1847 la situazione sembra precipitare. Tutto inizia la sera prima della Domenica delle Palme. La Prosperi cade malata, sembra soffocare. Il giovedì santo giace come paralizzata nel letto, non si muove, con dolori molto forti. Vive la Passione di Cristo in tutti i suoi momenti.
Scrive la Pellegrini: «intorno alla testa ha come dei segni in forma di corona di spina, vicino al cuore ha una ferita aperta e piena di sangue vivo, nelle mani appariva un segno paonazzo nel mezzo». Dopo la Pasqua le condizioni della Prosperi migliorano. Ma c’è una caduta pesantissima: torna l’infezione, la febbre violenta, i dolori alla testa. A partire dal mese di agosto del 1847 rimane malata a letto, alzandosi pochissimo.
Poche settimane prima di morire viene descritta in grado di vedere quello che accade nel monastero: riprende le monache che a pranzo non leggono le Costituzioni di venerdì, manda a dire alle monache fermatesi a parlare in corridoio di andare a dormire, riprende la Pellegrini perché invece di andare a passeggiare in silenzio si ferma a parlare della sua malattia con le consorelle, vigila sugli orari del coro, benedice dal letto la mensa comune perché nel frattempo nessuno lo ha fatto.
Insomma, fino all’ultimo: malata a letto, in fin di vita, ma sempre badessa.
Gli ultimi istanti della sua vita sono nel segno di una serenità che colpisce quanti assistono alla sua agonia e di una continua preoccupazione per le monache.
Si prepara a morire stando nel suo letto nella posizione del Crocifisso. Muore il 12 settembre 1847. Le sue spoglie riposano nella chiesa di S. Lucia a Trevi.
Il processo diocesano per il riconoscimento delle virtù eroiche della Prosperi è avviato nel 1914 dal Vescovo di Spoleto Pietro Pacifici.
Sospeso per le vicende belliche del ‘900, è riaperto ufficialmente dall’Arcivescovo Ottorino Pietro Alberti il 13 dicembre 1987. Chiuso il 13 dicembre dall’Arcivescovo Antonio Ambrosanio.
Il 19 dicembre 2011 Papa Benedetto XVI firma il decreto che ne riconosce il miracolo: la guarigione di una donna umbra gravemente malata a livello cerebrale. Il 10 novembre 2012 è stata beatificata nella cattedrale di Spoleto.

(Autore: Francesco Carlini – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beata Maria Luisa Angelica Prosperi, pregate per noi.

*Santa Miryam (12 Settembre)
Non vi sono sante con il nome Miryam. Esso deriva prima dall’egiziano Myrhiam che significa “principessa” e poi dall’ebraico Maryam equivalente di Maria, quindi la sua festa è il 12 settembre che celebra il Santo Nome di Maria.
(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Santa Miryam, pregate per noi.

*Beato Pietro Sulpizio Cristoforo Faverge - Religioso e Martire (12 Settembre)
Schede dei gruppi a cui appartiene:
“Beati Martiri Lasalliani di Rochefort" Religiosi professi”
“Beati Martiri dei Pontoni di Rochefort" 64 martiri della Rivoluzione Francese”

Orléans, Francia, 25 luglio 1745 – Rochefort, Francia, 12 settembre 1794
La Chiesa ricorda oggi il "dies natalis" di frère Roger - al secolo Pietro Sulpizio Cristoforo Faverge - dei Fratelli delle scuole cristiane (lasalliani), morto martire della Rivoluzione francese.
Con lui perirono tre confratelli.
Ma solo lui e altri due furono beatificati nel 1995, perché del quarto mancavano informazioni.
Fanno parte del gruppo dei "martiri dei pontoni di Rochefort", fatti morire di stenti su dei barconi alla fonda sul fiume Charente.
Vi perirono 542 persone.
Insieme ai tre beati lasalliani Giovanni Paolo II ha beatificato altri 61 martiri in quel luogo. (Avvenire)

Martirologio Romano: Nel mare di Rochefort in Francia, Beato Pietro Sulpizio Cristoforo Faverge, fratello delle Scuole Cristiane e martire, che, messo in una galera durante la rivoluzione francese in quanto religioso, prestò ogni cura ai compagni di prigionia, finché divorato dal contagio piamente morì.
Il Papa Giovanni Paolo II beatificò il 1° ottobre 1995 un gruppo di 64 martiri morti durante la Rivoluzione Francese, vittime delle sofferenze patite per la fede, noti quali “Martiri dei pontoni di Rochefort”.
Sulla vecchia imbarcazione “Deux-Associés”, ancorata nella regione de La Rochelle, furono
imprigionati e morirono fra gli altri anche tre Fratelli delle Scuole Cristiane.
Patirono sofferenze e vessazioni terribili a causa della loro fede e morirono in seguito ai maltrattamenti subiti.
Ben 285 sopravvissuti furono invece liberati il 12 febbraio 1795 e, tornati ai loro paesi, lasciarono testimonianze scritte dell’eroico esempio dei loro compagni, permettendo così l’avvio dei processi per la loro beatificazione.
I Fratelli delle Scuole Cristiane imprigionati nei pontoni furono in realtà complessivamente sette: Roger, Léon, Uldaric, Pierre-Christophe, Donat-Joseph, Avertin et Jugon.
Questi ultimi tre furono appunto tra i sopravvissuti e liberati il 12 febbraio 1795.
Tra i quattro morti in prigione invece, non furono tramandate notizie circa fratel Pierre-Christophe, che conseguentemente non è stato beatificato.
Il Martyrologium Romanum, che commemora i martiri singolarmente o in gruppo a seconda dell’anniversario del martirio, pone in data odierna la festa di Fratel Roger, al secolo Pierre-Sulpice-Christophe Faverge.
Questi nacque nella città francese di Orléans il 25 luglio 1745 ed entrò nel noviziato lasalliano nel 1767. Detenuto nei pontoni, si prodigò a curare i compagni di prigionia, ma infine morì ammalato al largo di Rochefort il 12 settembre 1794.

(Autore: Fabio Arduino – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - Beato Pietro Sulpizio Cristoforo Faverge , pregate per noi.

*San Serapione di Catania - Vescovo (12 Settembre)

IV sec.

San Serapione vescovo di Catania. É considerato il terzo vescovo della Diocesi, dopo San Severo e prima di San Severino.
Di lui non sappiamo nulla, ci è rimasto solo il suo nome.
Si presume abbia governato la diocesi intorno al IV secolo.
San Serapione  è menzionato in alcuni in alcuni codici del Martyrologium Hieronymianum il 12 settembre assieme a Sant’Euplo, Magnus e Secundinus.

(Autore: Mauro Bonato – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Serapione di Catania, pregate per noi.

*San Silvino di Verona - Vescovo (12 Settembre)
Etimologia: Silvino = abitatore delle selve, uomo dei boschi, selvaggio, dal latino
Emblema: Bastone pastorale
É commemorato il 12 settembre.
É un personaggio certamente esistito fra la fine del sec. V e il principio del VI, ma purtroppo nulla si sa sulla sua attività.
Esso è posto al diciottesimo posto, dopo l’episcopato di Felice, in un elenco dei vescovi di Verona, cosiddetto "Velo di Classe", un documento della metà del secolo VIII.
Sarebbe stato sepolto nella Pieve di Santo Stefano, dove però esiste un’iscrizione del sec. XI che nomina un Salvino, nome che sarà una corruzione dell’originario Silvinus in Salvinus.

(Autore: Antonio Borrelli – Fonte: Enciclopedia dei Santi)
Giaculatoria - San Silvino di Verona, pregate per noi.

*Beato Tommaso Zumarraga – Martire Domenicano (12 Settembre)
Scheda del gruppo a cui appartiene:
“Beati Martiri Giapponesi Beatificati nel 1867-1989-2008”

1577 - 1622

Emblema:
Palma
Martirologio Romano: A Omura in Giappone, Beati Apollinare Franco, dell’Ordine dei Frati Minori, Tommaso Zumárraga, dell’Ordine dei Predicatori, sacerdoti, e quattro compagni, martiri, che in odio alla fede cristiana furono gettati in carcere e poi messi al rogo.
Nato in Biscaglia, entrò nell'Ordine giovanissimo e dopo essere stato ordinato sacerdote partì per le Filippine e poi per il Giappone.
Qui divenne Vicario provinciale distinguendosi per la prudenza in un momento assai tragico per quella comunità cristiana.
Ardente nello zelo per la diffusione del Vangelo, si sottopose a continui disagi, incurante dei pericoli e delle difficoltà pur di assistere i cristiani avviliti e impauriti a causa della violenta persecuzione scatenatasi soprattutto a partire dal 1614.
Fu arrestato nel luglio del 1617 e, dopo cinque anni di disumana prigionia nelle tristissime carceri di Omura, ricevette la corona del martirio venendo arso vivo.
Era il 12 settembre 1622.

(Fonte: Convento San Domenico, Bologna)
Giaculatoria - Beato Tommaso Zumarraga, pregate per noi.

*Altri Santi del giorno (12 Settembre)

*Beata Maria di Gesù - Carmelitana
Giaculatoria - Santi tutti, pregate per noi.

Torna ai contenuti